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...Dopo il malato, le principali vittime dell’alcol sono i figli. Essi sono le persone più a lungo esposte, quelle più indifese, quelle senza o quasi possibilità di fuga, le più colpite e marchiate dall’alcol, le più a rischio di diventare essi stessi alcolisti o comunque dipendenti. L’alcol perseguita un figlio, specie se l’alcolista è la madre, fin dall’inizio della sua vita. Ma ancor prima dobbiamo tener conto dei figli mai nati: quelli mai concepiti per sterilità alcolcorrelata e quelli morti per aborto causato dall’alcol. L’alcol etilico è infatti un importante fattore di rischio di aborto “spontaneo” nel secondo trimestre di gravidanza tale da doversene sconsigliare il consumo, anche moderato, in questa condizione.


Un bambino può essere danneggiato dall’alcol già nella sua vita intrauterina (sindrome di alcolismo fetale). Nei primi giorni di vita fetale l’alcol agisce come una sostanza tossica, proprio mentre il cervello si sta sviluppando rapidamente. Oltre una certa dose, l’alcol etilico provoca la morte del feto. A dosi non letali, l’alcol causa invece un rallentamento della crescita; si verifica una riduzione del peso fetale ed un aumento delle endorfine a livello delle regioni posteriori del cervello conseguendone uno squilibrio nello sviluppo globale del cervello. Per contro si realizza una carenza degli altri neurotrasmettitori (noradrenalina ed encefaline) i quali sono responsabili dell’adattamento al mondo esterno. Ne risulta una patologia del comportamento che può costituire la base della sindrome di alcolismo fetale. Questa sindrome rappresenta la terza causa di ritardo mentale nei bambini.


Quand’anche l’alcol avesse risparmiato questa nuova vita nel grembo materno, la investe poi successivamente con evolversi della malattia del genitore alcolista. E ciò si verifica ineluttabilmente fin dai primi anni di vita di un figlio.
La più grande illusione o la più palese menzogna è ritenere che un figlio non si sia accorto e non abbia sofferto dell’alcolismo del proprio genitore fin dalla più tenera età. I figli invece vedono, osservano, capiscono ma soprattutto soffrono. Vedono la loro mamma bere, ne percepiscono il cambiamento di umore, la vedono dormire, restano abbandonati pericolosamente a se stessi o solo ad un “angelo custode”; oppure vedono rincasare il padre alcolista “nervoso”, litigioso o violento. Assistono alle liti dei genitori, specie di notte, e soprattutto vivono con un genitore che non c’è, che è assente, che non soltanto non si occupa di loro ma non gioca neppure con loro. I figli degli alcolisti diventano ben presto e frequentemente i grandi complici del malato. Essi non parlano, non riferiscono all’altro genitore né ai parenti o all’insegnante di scuola. I figli osservano e tacciono e non di rado si sentono essi stessi in colpa.


Il figlio di un alcolista sviluppa ben presto un grande senso di vergogna ed un sentirsi diverso dai suoi coetanei. Egli si confronta continuamente con i suoi pari e vede negli altri una realtà, un mondo, una famiglia completamente diversa dalla propria e se ne vergogna, la nasconde. Egli continua a vivere in una realtà che cela a se stesso ed agli altri portandosi dentro un gran segreto. Un segreto che, via via negli anni, diventa sempre più oneroso. Contemporaneamente egli si abitua a manipolare la realtà ed a viverne una virtuale, falsificata.
Il figlio di un alcolista non invita amici a casa propria perché non sa mai cosa accadrà. Come tornerà a casa il padre o come si presenterà la madre davanti ai suoi compagni. Non sa e teme ciò che gli altri potrebbero scoprire. Il figlio di un alcolista finisce per diventare presto adulto. Non ha possibilità nè tempo di fare a lungo il bambino. La sofferenza lo fa crescere in fretta; non può essere accudito, perché deve accudire; non può parlare di sé, perché non trova ascolto; non può tanto giocare perché non è sereno e lo fa per fuggire e per non pensare; non può essere aiutato e sostenuto perché è costretto a farlo da solo; non può combattere i suoi fantasmi e le sue paure perché la realtà della sua vita gliene crea sempre di nuovi.


Di quale amore si alimenta un figlio di alcolista? In genere di un amore preso in prestito o dei surrogati dell’amore, ma finisce per credere ed appoggiarsi a qualcosa che non è amore. Il figlio di un alcolista, abituato alla sofferenza, alla privazione, è portato a scegliere non di rado proprio le cose sbagliate, quelle complicate o pericolose come nessun altro “benpensante” farebbe. Vi è inoltre un particolare sottogruppo di figli di alcolisti: quelli che diventano essi stessi alcoldipendenti o tossicodipendenti, a conferma del rischio che essi hanno di diventare alcolisti che è di quattro volte superiore a quello di figli di genitori non alcolisti. Sono giovani doppiamente vittime dell’alcol: come figli prima, come malati poi.
Il figlio di un alcolista continua a portarsi dietro “l’alcol” anche quando crede di sfuggirlo, fintanto che non lo affronta per liberarsene.

Per raggiungere questo obiettivo aiutiamo un alcolista a curarsi, salvaguarderemo anche suo figlio.

Dr. Maurizio Pasquazzi, alcologo. (IPRA s.r.l.)